Camille Norment, Rapture

Per DARPS, Chiara Trivelli ha intervistato l’artista, musicista e compositrice Camille Norment (USA, 1970), e documentato la performance Rapture in occasione del finissage della 56° edizione della Biennale d’Arte di Venezia, presso il Padiglione Nordico ai Giardini. 

Il progetto proposto per il Padiglione dalla Norment, intitolato Rapture, letteralmente “rapimento/estasi”, è un progetto in tre parti: comprende un’installazione, una serie di performance e una pubblicazione, anch’essa in tre parti. Il progetto – spiega la Norment – si basa sull’idea di vibrazione/eccitazione sonora. È un lavoro sul suono e la sua relazione col corpo e la società.

L’installazione della Norment dialoga con l’essenzialità e il rigore del Padiglione Nordico, progettato dell’architetto norvegese Sverre Fehn alla fine degli anni Cinquanta. La Norment ha rielaborato la continuità interno/esterno del Padiglione, intervenendo sui confini/vetrate dell’edificio, che con la Norment dischiudendosi si scompongono, si moltiplicano, e vanno in frantumi. Infrangere un limite allude qui alla fisicità del suono, agli effetti possibili delle vibrazioni sonore. L’installazione della Norment è infatti essenzialmente un’installazione sonora. “La musica vive nell’intervallo tra la poesia e la catastrofe”: la Norment cita e si ispira a Arne Nordheim, compositore e musicista sperimentale norvegese recentemente scomparso. Nella scultura sonora della Norment, il suono non è inteso come un materiale da scolpire, un materiale plastico, ma come lo stesso scalpello. Se il suono, agendo a livello psicosomatico, è uno strumento di trasformazione e controllo sociale, nella dimensione psicoacustica ricreata dalla Norment il suono con le sue basse frequenze, alternato a sospiri e a voci disarticolate, riconduce l’emozione alla sua dimensione viscerale, a quell’eccitazione che è prima di una sua qualsivoglia connotazione come piacevole o spiacevole: pelle d’oca, semplicemente. Ai brividi del corpo corrisponde l’apertura della mente. L’opera della Norment rincorre, ripropone e riattualizza la questione dell’estasi, intesa non come rapimento divino ma in senso materialistico come effetto fisico, manipolabile. Esperienza liberatoria e di emancipazione sociale. La Norment sembra voler condurre lo spettatore verso un’esperienza percettiva che sia al contempo condizione di sospensione dai propri retaggi culturali.

Dell’ installazione fa parte una serie di altoparlanti appesi al soffitto che amplificano le composizioni sonore della Norment. In realtà quello che vediamo sono aste usate abitualmente per campionare il suono in presa diretta. La Norment ha dunque inserito degli altoparlanti all’interno di strutture che abitualmente sono utilizzate per contenere microfoni. Invertendo la funzione input/output (microfono che registra il suono, altoparlante che lo emette), la Norment sembra voler ribadire il rapporto di reciprocità e reversibilità del flusso interno/esterno. La presenza del blimp (della protezione anti-vento attorno al microfono/altoparlante) rafforza, inoltre, nel visitatore, la sensazione di ritrovarsi in un ambiente “scoperchiato”, attraversato e scosso da venti e turbinii di tempesta.

Parte integrante del progetto Rapture è un programma di performance, tra cui una serie di esibizioni del Camille Norment Trio all’interno del Padiglione. Il trio è composto da una chitarra elettrica, un hardingfele (strumento della tradizione folk norvegese, simile al violino), e un’armonica a vetri suonata dalla stessa Norment. La sperimentazione portata avanti dal trio è volta verso un attraversamento dei generi musicali (elettronica, classica e folk), che sia funzionale al recupero e all’affermarsi di una potenza originaria del suono, a prescindere dalla sua appartenenza a epoche e contesti differenti. In particolar modo, lo strumento suonato dalla Norment, la glassarmonica (armonica a bicchieri), uno strumento primitivo, idiofonico, il cui funzionamento è basato sulla frizione di dita, vetri e acqua, ha una sua particolare e controversa storia. Formalizzato e prodotto in serie come strumento di musica classica nella seconda metà del ‘700, quando Benjamin Franklin lo strutturò come vero e proprio strumento musicale disponendo i vetri su un asse orizzontale, l’uso dello strumento venne poi bandito perché ritenuto pericoloso. Avrebbe infatti causato sia in colui che lo suonava sia in coloro che lo ascoltavano allucinazioni e disturbi psichici. Per le sue caratteristiche ipnotiche e per i suoi effetti psichedelici, la glassarmonica è stata utilizzata anche nelle sperimentazioni degli anni Settanta da gruppi musicali come i Pink Floyd.

All’approfondimento sulla ricaduta sociale e sul contesto culturale in cui la ricerca della Norment si colloca, è dedicata la pubblicazione di tre volumi intitolati sempre Rapture, il primo dei quali già disponibile, che raccolgono testi critici, interviste all’artista e documentazione sulla sua opera.

Nel video qui proposto, la Norment affronta infine la questione di genere affermando che questa è ancora oggi un argomento rilevante anche nel mondo dell’arte perché, per quanto il numero delle artiste riconosciute sia notevolmente aumentato, “certamente ancora oggi non si può parlare di uguaglianza”. Questo, secondo la Norment, è stato un anno particolare, per il grande sforzo cosciente di affrontare questioni come quelle della rappresentazione e dell’uguaglianza, non solo nel Padiglione, ma nella progettazione che Okwui Enwezor, il curatore della 56° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, ha fatto della Biennale nel suo insieme. Un precedente che la Norment si augura possa trovare ulteriore seguito.

Chiara Trivelli